La Corte di Cassazione ha ribadito un principio cardine: anche i comportamenti extralavorativi possono giustificare il licenziamento di un dipendente, specie se compromettono il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. La sentenza n. 31866/2024 della sezione lavoro, pubblicata l’11 dicembre 2024, ha confermato la destituzione di un conducente di autobus condannato in via definitiva per reati gravi, tra cui violenza sessuale, maltrattamenti abituali e lesioni personali.
Nel caso specifico, l’autista, condannato a due anni e tre mesi di reclusione, aveva umiliato e aggredito ripetutamente la moglie. Nonostante avesse ottenuto l’affidamento in prova, la Suprema Corte ha sottolineato che il percorso riabilitativo non cancella retroattivamente la gravità dei fatti sul piano disciplinare. La fiducia del datore di lavoro risultava ormai irrimediabilmente compromessa, precludendo la possibilità di una futura collaborazione serena e professionale.
Il legame tra condotta privata e lavoro
Il dipendente, in qualità di conducente di autobus, operava a stretto contatto con il pubblico, una mansione che richiede autocontrollo, rispetto per gli utenti e capacità di gestire situazioni stressanti. La natura violenta e prevaricatrice dei comportamenti emersi dalla condanna penale rappresentava un rischio concreto per l’attività svolta, sia in termini di sicurezza che di rapporti con gli utenti e i colleghi. La Cassazione ha infatti evidenziato che la condotta extralavorativa, caratterizzata da sopraffazioni fisiche e psichiche, mina il decoro e la dignità richiesti al lavoratore, con conseguenze dirette sulla fiducia indispensabile per il rapporto di lavoro.
Un principio valido per tutti i lavoratori
Secondo la legge, il lavoratore deve mantenere un comportamento tale da non ledere gli interessi, anche morali, del datore di lavoro, neanche nella vita privata. La giusta causa di licenziamento può essere invocata se emerge un nesso tra le condotte personali e le mansioni svolte, come accaduto in questo caso. Inoltre, il dipendente licenziato aveva precedenti disciplinari per insubordinazione e perdita di controllo, fattori che hanno ulteriormente aggravato la situazione.
Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, ha ricordato che molti non sanno che il datore di lavoro può licenziare un dipendente per reati commessi al di fuori dell’ambiente lavorativo, a patto che tali comportamenti compromettano la fiducia nel corretto svolgimento delle mansioni. Questa sentenza conferma un principio di rilevante importanza, proteggendo il diritto del datore di lavoro a garantire un ambiente sereno e professionale per tutti i suoi dipendenti e clienti.