Il ritorno dei cammelli in Europa

0
6
cammelllo concorso bellezza

cammelllo concorso bellezza

I cammelli tornano in Europa. Non è il sogno di un poeta o la visione lisergica di un artista nomade: è l’effetto collaterale più poetico se vogliamo del riscaldamento globale. L’Europa si scalda, le acque del Mediterraneo ribollono, e l’antica “nave del deserto” riemerge dalle nebbie della Storia. Un animale che si credeva confinato all’iconografia biblica e ai quadri orientalisti del XIX secolo, cammina ora alle pendici dell’Etna e tra i campi del Lazio.

Là dove si pensava potessero crescere solo vigne o ulivi, ora si allevano dromedari. Non per bellezza esotica o capriccio aristocratico – come accadeva dal Rinascimento in poi – ma per ragioni concrete, economiche, climatiche: latte, turismo, adattabilità. Il dromedario è tornato utile, e con lui torna un mondo che credevamo sepolto.

In questa apparizione non c’è nulla di aneddotico: c’è invece la lenta e inesorabile mutazione della civiltà europea sotto la pressione dell’Antropocene. I cammelli non tornano per grazia, ma per necessità. Non è una moda esotica, ma un adattamento. E allora il tempo si curva: i resti di cammelli rinvenuti negli scavi romani in Inghilterra e in Germania diventano una profezia postdatata. I rituali di umiliazione pubblica in epoca altomedievale, che utilizzavano questi animali, si rovesciano oggi in un’offerta turistica ecologica.

Il deserto avanza. Ma non con l’immaginario della distruzione: avanza come una metamorfosi del paesaggio, come un ritorno di simboli. Forse, in fondo, è questo l’unico modo che ci resta per leggere il cambiamento climatico: come una riscrittura dell’iconografia, un rimescolamento di memorie. I cammelli non sono solo animali resistenti alla sete, sono immagini resistenti al tempo.Senza saperlo, camminiamo nel mito.