Non si sa perché il mistero del sorriso della Gioconda ne racchiuda così tanti, ma molto probabilmente continuerà a stupire le generazioni a venire.
In effetti la Gioconda di Leonardo da Vinci custodisce più segreti di quanti, scienziati, storici dell’arte e appassionatisi, siano riusciti a rivelare. Un gruppo di esperti del Centro nazionale della ricerca scientifica francese (Cnrs) ha preso in esame il dipinto realizzato dall’artista rinascimentale nel 1503 conservato al museo del Louvre di Parigi. Attraverso una tecnica di indagine sofisticata, lo European synchrotron radiation facility (Esrf), un acceleratore di particelle che permette di indagare a fondo la struttura della materia, i ricercatori hanno passato ai raggi X un campione microscopico dello strato preparatorio che ricopre la tavola in legno di pioppo su cui Leonardo dipinse la Gioconda. I risultati, pubblicati sulla rivista scientifica Journal of the American Chemical Society, rivelano che la Monna Lisa anche da un punto di vista chimico è un bel puzzle da risolvere: in particolare è stata individuata la presenza di plumbonacrite, un sottoprodotto dell’ossido di piombo. Tracce di questo composto, raro e stabile soltanto in un ambiente alcalino, sono state isolate anche nell’Ultima cena, realizzata da Leonardo tra il 1495 e il 1498 a Milano. La scoperta avallerebbe l’ipotesi secondo cui Leonardo avrebbe utilizzato l’ossido di piombo in polvere al fine di addensare la pittura per poi farla seccare. In questo senso emergono altri particolari sulla sua attività pittorica: avrebbe sciolto il composto, di colore arancione, in olio di semi di lino o di noce, per poi riscaldarlo al fine di ottenere una miscela spessa e ad asciugatura rapida.
Leonardo “amava sperimentare e ogni suo dipinto è tecnicamente diverso dagli altri – ha spiegato all’”Associated Press” Victor Gonzalez, il principale autore dello studio e chimico del Cnrs. – In questo caso, è interessante notare l’esistenza di una specifica tecnica per lo strato di fondo”. In effetti Leonardo oltre a essere un abile innovatore, può considerarsi anche un anticipatore: la plumbonacrite fu utilizzata nel Seicento dal pittore olandese Rembrandt e si diffuse maggiormente l’uso verso fine Ottocento.
Lo studio dei suoi manoscritti da parte degli esperti per comprendere in che modo Leonardo adoperasse questo composto chimico, la plumbonacrite, purtroppo non lumeggia a sufficienza questi aspetti: “Le parole usate da Leonardo sono molto diverse dalla terminologia attuale”, ha spiegato Marine Cotte dell’Esrf, sottolineando che il significato dello stesso termine può cambiare a seconda del contesto in cui è inserito. I ricercatori in effetti hanno trovato un riferimento a un particolare composto chimico in un testo di farmacia, tuttavia non si può escludere che venisse utilizzato anche in ambito pittorico.
La storia della Gioconda
Stando al Vasari, la donna mostrata nel dipinto pare che fosse Lisa Gherardini, la moglie di un ricco uomo italiano di nome Francesco del Giocondo che commissionò l’opera a Leonardo Da Vinci nel 1503. Non è sicuro chi sia esattamente nel ritratto, questa è soltanto una delle tante teorie. Leonardo non riuscì mai a portare a compimento l’opera, per cui la portava sempre con sè nei suoi spostamenti. Terminò il dipinto nel castello di Cloux, in Francia, poi entrò a far parte della collezione di Francesco I. Da Vinci morì nel 1516, quindi il dipinto fu consegnato al suo assistente, non avendo terminato lui stesso il dipinto prima della sua morte.