Confermata la condanna per minacce a carico di un cliente che prometteva vendetta a un avvocato.
La Cassazione dice stop ai post intimidatori sui social. Rischia la condanna chi pubblica i posti su Facebook con i quali si promette vendetta, precisamente chi scrive frasi intimidatorie può essere punito per minacce.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza 11473/23 pubblicata il 17 marzo 2023, che ha confermato la condanna a carico di un cliente che prometteva vendetta all’avvocato. La quinta sezione penale ha spiegato che il delitto contenuto la minaccia va valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto, sicché non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell’agente sia potenzialmente idonea a incidere sulla libertà morale della vittima, il cui eventuale atteggiamento minaccioso o provocatorio non influisce sulla sussistenza del reato, potendo eventualmente sostanziare una circostanza che ne diminuisca la gravità, come tale esterna alla fattispecie.
Per gli Ermellini, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “Il riferirsi a un luogo in cui l’agente avrebbe svolto esternazioni capaci di arrecare dolore al preciso soggetto destinatario dell’avviso ( “ci vediamo…anticiparti” , per la valenza semantica delle espressioni usate (tese non ad illustrare eventuali ragioni di supporto alle avverse tesi processuali o a sconfessare eventuali linee defensionali già tracciate dal professionista preso di mira, ma a prospettare “tout court” un doloroso danno) e per il pregresso contesto diffamatorio ed accusatorio, non può che voler significare e rappresentare l’intenzione di arrecare, a mezzo delle proprie future esternazioni in sede tribunalizia, danno e dolore al destinatario dell’avviso, rendendo tanto più inquietante la minaccia proprio per la sua genericità e la sua prospettazione nell’ambito di una certamente ineludibile, doverosa ed inevitabile futura dialettica processuale”.