Importante pronuncia della Cassazione. Può essere condannato per stalking chi manda whatsapp a parenti e amici della ex nella convinzione che le offese e le minacce le vangano riferite.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza 46834-22 pubblicata il 12 dicembre scorso, ha respinto, sul punto, il ricorso di un rumeno che dopo essersi lasciato con una ragazza di Bologna, aveva iniziato a tormentare il fratello di lei di messaggi, anche su facebook, per spaventare la ragazza.
Nel confermare e rendere definitiva la condanna, la quinta sezione penale ha chiarito che integra il delitto di atti persecutori la reiterata e assillante comunicazione di messaggi di contenuto persecutorio, ingiurioso o minatorio, diretta a plurimi destinatari a essa legati da un rapporto qualificato di vicinanza, ove l’agente agisca nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza, della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice.
Detto in altri termini, è rilevante il porre in essere una condotta minacciosa o molesta nei confronti di soggetti diversi dalla vittima, anche se a questa legati da un rapporto qualificato, ove l’autore del fatto agisca nella consapevolezza che la stessa certamente sarà posta a conoscenza della sua attività intrusiva e persecutoria, volta a condizionarne indirettamente le abitudini di vita così da determinare, quale conseguenza voluta, l’impossibilità o, comunque, la difficoltà per la persona offesa di trovare un lavoro o di frequentare un determinato luogo.
Lo stalking, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è la persecuzione finalizzata alla creazione di stati di ansia e terrore in un altro individuo, molto spesso attuata per ragioni sentimentali, può avere dei risvolti penali. La nuova fattispecie è stata introdotta nel nostro codice penale nel 2009 e conta già una discreta applicazione da parte della magistratura. Uno dei punti più dibattuti è quello concernente la durata della molestia ai fini della punibilità. In proposito la Cassazione ha spesso chiarito che «il reato di cui all’art.612 bis cod. pen. non richiede una particolare durata temporale delle condotte, essendo sufficiente la mera reiterazione delle stesse, ravvisabile anche nella commissione di due episodi di minaccia o molestia.