Lo ha stabilito una ordinanza della sezione specializzata in diritti della persona del Tribunale di Roma. Disapplicato in quanto illegittimo il dm Salvini che impone le diciture «padre» e «madre»: contrario a norme costituzionali, Cedu e Ue, viziato da eccesso di potere. Da modificare il software Cie.
Le due mamme della bambina devono essere indicate come “genitore” nella carta d’identità elettronica della minore. Va disapplicata, in quanto illegittima, la disposizione che impone la dicitura «padre» e «madre», introdotta dal decreto del ministero dell’Interno del 31 dicembre 2019, quando titolare del Viminale era Matteo Salvini.
E ciò perché risulta contraria a principi costituzionali e internazionali, oltre che viziata da eccesso di potere. Il documento d’identità, d’altronde, deve rappresentare in modo esatto quanto risulta agli atti dello stato civile, certificandone il contenuto. E per adeguarsi il ministero deve modificare – se necessario – software e hardware utilizzati per l’emissione della Cie.
È quanto emerge dall’ordinanza emessa dalla sezione specializzata in diritti della persona del tribunale di Roma di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”. Accolta la domanda delle due mamme, una biologica e l’altra adottiva, dichiarata genitore della bambina da una sentenza definitiva del tribunale per i minorenni: la bimba porta i cognomi di entrambe le donne. E non c’è dubbio che le madri abbiano diritto a essere identificate in modo conforme alla loro identità di genere – o almeno in termini neutri – nella carta d’identità della figlia: qualificare la madre adottiva come «padre», secondo quando prevede(va) il dm Salvini, costituisce un’ingerenza nel diritto al rispetto alla vita privata e familiare, vietata dall’articolo 8 Cedu. Senza dimenticare, osserva il giudice, i problemi pratici nei viaggi dentro e fuori l’Unione europea: alla frontiera la famiglia arcobaleno rischia il rifiuto d’ingresso o di uscita; possiamo immaginare lo stupore del funzionario di fronte alla «bimba accompagnata da una gentile signora» che dal documento «risulta essere suo “padre”». Ancora: «se le parole hanno un senso», qualificare una donna come “padre” è contro i principi di esattezza e minimizzazione del regolamento Ue Gdpr, come aveva sottolineato il garante privacy prima dell’emissione del decreto.
Di più: il funzionario compie un falso ideologico se nel documento d’identità indica come padre una delle due donne che dall’atto di nascita risultano genitore della minore. Il dm Interno, infine, va oltre la limitata funzione assegnatagli dalla legge: definire le modalità di emissione della Cie. Spese di lite compensate per la novità della questione.