Per la prima volta in Italia il Comitato etico ha dato il via libera al suicidio assistito di una persona. Più di un anno fa Mario aveva chiesto all’azienda ospedaliera delle Marche di poter morire, in quanto tetraplegico da dieci anni. La decisione è stata resa possibile in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale del caso di Dj Fabo.
Mario, nome di fantasia per il camionista 43enne di Pesaro rimasto tetraplegico in seguito ad un incidente stradale, aveva fatto richiesta per il suicidio assistito in quanto rispettava le condizioni chiave: la volontà del paziente di morire, l’irreversibilità della malattia, l’insostenibilità del dolore e il fatto di essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale.
La notizia, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è stata diffusa dall’Associazione Coscioni, che si batte per il suicidio assistito in Italia, precisando che restano ora da individuare le modalità e la tipologia del farmaco da assumere. “Mi sento più leggero, mi sono svuotato di tutta la tensione accumulata in questi anni”. Questo, rende noto l’Associazione Luca Coscioni, il commento di ‘Mario’ dopo aver letto il parere del Comitato etico. “Non credo che si possa parlare di vittoria per nessuno e neppure che ci si possa rallegrare perché un uomo morirà, dal momento che la sua vita è diventata troppo faticosa. Eppure tante testate giornalistiche oggi hanno messo in evidenza questa notizia drammatica con toni trionfalistici e questo per me è intollerabile” dichiara la senatrice Paola Binetti. “Il Comitato etico dell’Asl da cui Mario è assistito ha dato il via libera al suicidio medicalmente assistito e Mario sarà il primo di questa triste vicenda, che sia ben chiaro non è l’affermazione della libertà di una persona che vuole morire, ma il fallimento di una società che non è stata in grado di prendersi cura di lui a 360 gradi, come sarebbe stato giusto”.
E sulla mancanza di una legge dice: “Secondo il Comitato Etico della ASL Mario rientrerebbe nelle condizioni stabilite dalla Consulta per l’accesso al suicidio assistito. Ma in realtà la famosa sentenza chiedeva al Parlamento di legiferare e di fatto la legge non c’è ancora. E la legge non c’è ancora non perché i parlamentari vogliano sottrarsi ad una indicazione della Corte costituzionale, ma perché si tratta di una materia delicatissima, come quella di ogni vita fragile, che esige anche una responsabilità sociale di alto profilo”.