Da oggi in avanti, converrà stare attenti a quello che scriviamo via WhatsApp. Perché le parole, anche se rivolte a un amante in via informale, possono trasformarsi in un boomerang, in una prova schiacciante ai nostri danni, davanti a un giudice. Come nel caso di Novara dove un uomo riesce a farsi restituire i soldi consegnati a suo tempo a “un’amica”, che magari è qualcosa di più, forse proprio l’amante. E ciò grazie a WhatsApp, perché la donna in chat assicura che prima o poi restituirà le somme, riconoscendo dunque il debito: gli screenshot, come copia cartacea di un documento informatico, costituiscono riproduzione meccanica con valore probatorio. E pesano le copie degli assegni a suo tempo staccati dall’interessato. Mentre la signora non riesce a provare che le dazioni costituiscano donazioni a causa della relazione sentimentale fra loro.
È quanto emerge dalla sentenza 566/21, pubblicata dalla prima sezione civile del tribunale di Novara. La domanda dell’uomo è accolta perché le sue ragioni di credito risultano comprovate: ottiene il pagamento di 6.900 euro, vale a dire la somma versata in due tranche con assegni bancari a distanza di tre mesi. Un aiuto a “un’amica di famiglia” in difficoltà economiche dopo essersi separata dal marito, dice lui. Vere e proprie “regalie”, sostiene lei, visto che il loro rapporto si era trasformato nel tempo in una vera e propria liaison intima. E sarebbe stata proprio la moglie dell’uomo a pretendere la restituzione del denaro dopo aver scoperto la tresca del marito. Nessun dubbio che chi chiede la restituzione di somme date a mutuo debba provare gli elementi costitutivi della domanda: il titolo oltre che la consegna del denaro, laddove quest’ultima non basta a fondare di per sé a fondare la richiesta di restituzione. È poi esclusa l’inversione dell’onere della prova se l’accipiens ammette di aver ricevuto i soldi ma ne deduce una diversa ragione: negare l’esistenza del contratto, infatti, si risolve nel contestare il titolo della domanda e dunque non si tramuta in eccezione in senso sostanziale.
Hanno valore probatorio ex articolo 2712 Cc gli screenshot della chat in cui la donna («so che ti devo dare i soldi e te li do»), che hanno un tenore confessorio. I documenti e la mancata contestazione sulla dazione della somma portata dagli assegni integrano gli elementi costitutivi della pretesa dell’uomo ex articolo 2729 Cc. Alla donna non resta che pagare, anche le spese di lite.
Nella sua sentenza, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il giudice spiega che lo screenshot costituisce riproduzione meccanica con valore probatorio, anche se pesa la copia degli assegni versati. Inoltre non provata la donazione per la relazione extraconiugale.