L’ossessione per i videogiochi diventa malattia mentale. Lo ha stabilito l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), la quale ha incluso il “gaming disorder”, ossia il disturbo da gioco, nella sua lista delle malattie (International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems). Il disturbo, indicato come gaming disorder, comprende una serie di atteggiamenti comprendenti mancato controllo sul gioco e grande priorità data ad esso tanto da renderlo più importante di qualsiasi altra attività quotidiana e di ogni interesse esistenziale.
La posizione assunta dall’Oms rispetto alla dipendenza da videogames deriva dalle molteplici segnalazioni arrivate dagli esperti, già operativi con cliniche per la disintossicazione. Il pericolo di una dipendenza patologica incombe soprattutto sui più giovani che nei videogiochi trovano una dimensione particolare nella quale confrontarsi con se stessi e con i compagni di gioco on line e ad essa dedicano tempo ed energie. Una grande spinta al gaming disorder è stata data, inevitabilmente, anche dal periodo di lockdown vissuto agli inizi della pandemia da covid-19 che rappresenta il contraccolpo psicologico delle esperienze dei mesi scorsi. Costretti in casa, bambini e adolescenti hanno trascorso gran parte del proprio tempo attaccati ad un joistick on line, ma anche off line, alle prese con competizioni virtuali. Tempi lunghissimi durante i quali il distacco dalla quotidianità diventava progressivo e sempre più marcato, sino ad arrivare ad una sorta di isolamento sociale peggiorato da sbalzi d’umore ed esclusione di tutto ciò che non abbia attinenza con i risultati del gioco. Una condizione preoccupante che diventa l’unico interesse e l’unica valvola di sfogo e si accompagna a disturbi alimentari e del sonno, depressione, ansia, stress, mal di testa e persino crisi epilettiche.
Rimanere chiusi in casa, in camera a giocare può far sviluppare anche la cosiddetta sindrome della capanna o del prigioniero, ossia la paura di uscire e lasciare la propria casa, il luogo che per mesi ci ha fatto sentire al sicuro, al riparo da qualsiasi pericoloso agente esterno, entro le confortevoli mura della propria stanza in compagnia della fidata consolle e dello smartphone, ignorando qualsiasi richiamo esterno. Per diverse ragioni, ma anche a causa di meccanismi del tutto inconsci, ansia, paura e frustrazione hanno preso il sopravvento nello stato d’animo di queste persone che, oltre tutto, hanno manifestato contestualmente anche disturbi del sonno, depressione e spiccata tendenza all’irascibilità. Effetti per certi versi riconducibili a quelli percepiti da chi è stato costretto ad una lunga degenza o da chi, vivendo in zone del mondo dove il freddo invernale impedisce di uscire, è costretto a restare chiuso in casa per mesi e mesi.
È bene non sottostimare la gravità di questa sindrome: più tende a cronicizzarsi e maggiore è la probabilità che lasci il segno. Sono molteplici le cause responsabili di un comportamento protettivo come questo, tra cui il terrore verso il mondo esterno, la paura di ammalarsi, il timore di contagiare i propri cari e la convinzione di non ritrovare più il mondo che si conosceva prima. L’aiuto di un neuropsichiatra infantile è importante per recuperare terreno in una situazione simile, così come il recupero delle abitudini più salutari necessarie a ristabilire priorità e rituali sani. Comunicare e rassicurare soprattutto i bambini è il primo passo in un percorso da puntellare con impegni quotidiani grazie a quali scandire il tempo a disposizione, evitando che tutto si riduca ad una partita interminabile ai videogames. Riprendere le corrette abitudini non è facile e come qualsiasi altra dipendenza, anche il gaming disorder conosce momenti di particolare criticità, ma con attenzione e rassicurazioni può essere sconfitto. Di aiuto è sicuramente la prevenzione negli atteggiamenti sbagliati: le regole e l’organizzazione del tempo sono fondamentali nella vita di bambini e adolescenti ed il loro rispetto scongiura il rischio di assuefazione ad abitudini pericolose.
E’ la prima volta, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, che l’Oms include una dipendenza “tecnologica” nella lista delle malattie. Fra i sintomi a cui i medici dovrebbero prestare attenzione ci sono il fatto che il paziente dia priorità ai videogame “fino al punto in cui il gioco prevale sugli altri interessi della vita”, l’inabilità di controllare quanto spesso o quanto a lungo si gioca, l’ignorare le conseguenze negative del giocare troppo. In conclusione ricordiamo quanto riportato da uno studio della Boston University School of Public Health (pubblicato da JAMA) che ha evidenziato un aumento significativo del numero di adulti americani con sintomi depressivi dal momento in cui è iniziata l’emergenza sanitaria negli Stati Uniti (dall’8,5% iniziale al 27,8% di metà aprile). Dopo eventi traumatici del genere (Ebola, 11 settembre e altro) la depressione nella popolazione al massimo raddoppiava, nel caso del Covid-19 è persino triplicata. Quindi il messaggio che vogliamo dare è sì di stare attenti all’ansia e alla preoccupazione rientrando nella propria normalità, ma di non esitare a rivolgersi a specialisti se i sintomi dovessero perdurare, perché si potrebbe essere in una situazione simile ai sintomi prodotti da stress post-traumatico o, comunque, essere di fronte alla slatentizzazione di qualcosa già preesistente ma latente.