Dunque gli equivalenti sono detti così perchè equivalgono ai farmaci cosiddetti “etichettati”, quelli che sono stati prodotti da una precisa azienda farmaceutica ma che dopo 10-15 anni ne hanno perduto il brevetto di produzione. Esiste per i farmaci equivalenti una “forbice” di attività rispetto al farmaco originario che può oscillare fra il 10 e il 15%, in altre parole una “perdita” di attività del principio base che può ridursi fino al 15%. Questa “perdita” è francamente trascurabie, dunque non va considerata nella scelta fra un farmaco”brand” e un equivalente.
Va piuttosto considerato il risparmio di spesa, in primo luogo per il paziente, e, ultimo ma non ultimo, per il Servizio Sanitario Nazionale che spenderà complessivamente meno. Dunque affidiamoci senza indugi ai farmaci equivalenti, piuttosto con una sola, necessaria osservazione: nel nostro paese probabilmente c’è forse stata una legislazione fin troppo generosa nei confronti di diverse aziende che producono gli “equivalenti”, e questo ne ha generato una frammentaria diffusa produzione, facendo si che, molto frequentemente, mese per mese, in corso di terapie croniche, il farmacista ci possa proporre ogni volta un equivalente diverso.
Questo potrebbe ingenerare un pò di confusione soprattutto tra i pazienti più anziani che sono abituati a quello scatolino o a quel colore della compressa che quotidianamente assumono. A tutto ciò si può ovviare stabilendo un preciso rapporto di fisucia con il farmacista “sotto casa”chiedendo di volta in volta lo stesso equivalente. Questo descritto può essere, forse, l’unico reale svantaggio, a fronte però del risparmio non indifferente per le tasche di tutti noi.