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Cervello umano complessità unica: le differenze con quello degli altri primati

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La complessità del cervello umano ha da sempre affascinato i sapienti e gli studiosi di ogni epoca. In effetti di questo meraviglioso organo sappiamo ancora relativamente poco. Certo è che l’uomo nelle mirabili opere prodotte nel campo dell’arte, della letteratura, della filosofia e della scienza, ha espresso il suo segno distintivo nel corso dei secoli. Ma cos’è che differenzia realmente quest’organo rispetto a quello ad esempio degli altri primati?

Cervello umano: caratteristiche davvero uniche

Un team di ricerca internazionale della Yale University, a cui ha collaborato anche Marco Onorati, ricercatore al Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e “visiting scientist” alla Yale University, ha provato a rispondere a questa complessa ed affascinante domanda.

I ricercatori in particolare hanno scoperto un particolare tipo di neuroni nella corteccia cerebrale, ovvero gli interneuroni dopaminergici, che invece non risultano presenti nelle grandi scimmie, i nostri parenti più prossimi per quanto riguarda la scala evolutiva. Nello specifico questi neuroni dopaminergici si trovano nella sostanza nera del mesencefalo non solo nell’uomo, ma anche negli altri primati, nella nostra specie però sono presenti anche nella corteccia cerebrale.

I ricercatori attraverso la comparazione del profilo genico del cervello con quello degli altri primati hanno scoperto l’esistenza di geni precipuamente preposti alla sintesi della dopamina. La dopamina è un neurotrasmettitore che svolge funzioni molto importanti, ad esempio quelle legate alla regolazione dell’attenzione, dell’umore, del piacere e del movimento. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science.

In particolare così ha concluso il ricercatore Onorati: “Per quanto riguarda i numeri, questi interneuroni sono rari, meno dell’1% e tuttavia, essendo coinvolti nella sintesi della dopamina, possono regolare funzioni cognitive superiori tipiche dell’uomo, come la memoria e il comportamento, oltre ad essere coinvolti in malattie come il Parkinson o alcune forme di demenza, per le quali questo studio potrà in futuro fornire nuove prospettive”.

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