Un farmaco che si inietta direttamente nel cervello migliorerebbe significativamente i sintomi che caratterizzano il morbo di Parkinson. Questa terapia sperimentale si somministra con una infusione una volta al mese, potrebbe rallentare controllare o perfino riuscire a invertire il decorso del morbo di Parkinson. Sono questi i primi risultati che emergono da uno studio condotto dalla Scuola di Medicina dell’Università di Bristol. Per superare la barriera ematoencefalica, i ricercatori, tramite una operazione neurochirurgica, hanno installato uno speciale dispositivo dietro l’oreccchio del paziente. In tal modo tramite questo apparecchio è stato possibile iniettare il farmaco direttamente nel cervello. Nello specifico il farmaco utilizzato è un un fattore neutrofico derivato dalla Glia (GDNF, glial cell line-derived neurotrophic factor), una proteina prodotta dal cervello che migliora la sopravivvenza delle cellule cerebrali, anche di quelle che producono la dopamina, che sono proprio le cellule che vengono danneggiate da questa patologia neurodegenerativa. La GDNF è stata testata su un gruppo di 35 pazienti. A nove mesi dalle infusioni, nei pazienti tratatti col farmaco si sono ottenuti dei significati cambiamenti in un’area molto importante del cervello colpita dal morbo. Ciò per i ricercatori potrebbe dimostrare il ruolo della GDNF nel risveglio delle cellule cerebrali danneggiate dal Parkinson. Così ha dichiarato il professor Whone, uno degli autori della ricerca: “L’entità spaziale e relativa del miglioramento rilevato nelle scansioni cerebrali è al di là di quanto osservato nei precedeni studi sui trattamenti col fattore di crescita per il Parkinson. Sono tra le prove più convincenti che possiamo avere un mezzo in grado di risvegliare e ripristinare le cellule cerebrali dopaminergiche che vengono gradualmente distrutte nel Parkinson. È una svolta significativa nella nostra capacità di trattare condizioni neurologiche come il Parkinson, perché la maggior parte dei farmaci che potrebbe funzionare non può attraversare il flusso sanguigno nel cervello a causa della barriera protettiva naturale“. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Parkinson’s Disease.
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