Un
uomo di 69 anni affetto da un raro tumore al pancreas è stato trattato con un
radiofarmaco lutezio-177, per distruggere le
cellule tumorali. L’uomo tuttavia è deceduto. Pochi giorni dopo, l’impresa funebre rispettando la sua volontà, ha provveduto a cremarlo. Tuttavia i parenti non avevano avvertito i dipendenti che il loro congiunto pochi giorni prima era stato trattato con un farmaco “radioattivo”. Il caso si è verificato negli Usa, in
Arizona. La questione è molto dibattuta negli Stati Uniti dove il
tasso di cremazione risulta superiore al 50%. In particolare la
cremazione dell’uomo morto per cancro che è avvenuta alcuni giorni dopo, ha prodotto la
contaminazione radioattiva del forno. Tuttavia a seguito delle analisi a cui sono stati sottoposti gli addetti, non sono state scoperte tracce del lutezio-177, bensì di altri
radiofarmaci, in particolare del tacnezio, che potrebbero derivare da altri deceduti sottoposti a cremazione nei giorni precedenti. I ricercatori americani una volta venuti a conoscenza del caso, hanno chiesto se esistesse una specifica regolamentazione riguardante la
cremazione delle persone curate con radiofarmaci. La regolamentazione allo stato attuale non esiste. Lo studio condotto dal Dipartimento di Oncologia delle radiazioni della Mayo Clinic di Phenix, in Arizona pubblicato sul
Journal of the American Medical Association evidenzia che saranno necessari altre ricerche per verificare l’esistenza di una relazione tra la contaminazione da radiazioni e gli effetti sulla salute dei dipendenti dei forni crematori a causa di una esposizioone ripetuta o a lungo termine.