Un gruppo di ricercatori dell’Università del Salento il cui progetto di ricerca è stato finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, ha individuato una proteina che si chiama beta-catenina che svolge un ruolo chiave per la proliferazione delle cellule tumorali. Riuscire a bloccarla pertanto avrebbe anche l’effetto di inibire la progressione del tumore. Attualmente i farmaci cosiddetti intelligenti che vengono impiegati contro il cancro al colon hanno una effiacia terapeutica limitata, in quanto inibiscono la proliferazione delle cellule tumorali ma non sono in grado di arrestarne la sopravvivenza. I ricercatori hanno scoperto che se si riesce a inattivare prolungatamente la proteina beta-catenina, le cellule tumorali attivano una risposta metabolica adattativa, ovvero per poter sopravvivere le cellule cominciano a divorare loro stesse. Tuttavia ciò avviene per l’espressione di un’altra proteina denominata Nherf1. Proprio questa proteina attiverebbe la beta-catenina. Pertanto i ricercatori leccesi in collaborazione con il Dipartimento di chimica e tecnologie del farmaco dell’Università la Sapienza di Roma hanno realizzato un nuovo inibitore di Nherf1, in combinazione con un antagonista della beta-Catenina. Il farmaco messo a punto dai ricercatori agisce solo sulle cellule tumorali pertanto non ha effetti significativi su quelle sane. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Oncogene, una rivista che appartiene al gruppo Nature. Il tumore del colon retto è una delle patologie tumorali più diffuse. Oggi ben il 65% dei pazienti affetti da questo tumore se la diagnosi è precoce riesce a guarirne. Si tratta di un tumore che dipende anche dallo stile di vita, per cui le abitudini alimentari che prevedono un consumo eccessivo di cibi ricchi di grasssi possono aumentare il rischio di svilupparlo. Tuttavia nuove prospettive di cure vi sono anche per il 20% dei pazienti che scopre il tumore a uno stadio avanzato quando ha dato già metastasi in altri organi.
In particolare la combinazione dei farmaci trifluridina-tipiracil, si è dimostrata in grado di prolungare la sopravvivenza dei pazienti, con un buon profilo di tossicità. Attualmente la sopravvivenza media dei pazienti che fino a 20 anni fa era ferma a 12 mesi oggi invece si attesta intorno ai 30 mesi.
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