La donna era stata assunta dalla Perugina Neslté nel 1997 in quanto categoria protetta per una forma di invalidità causata da un incidente sul lavoro. Il caso è stato sdgnalato da Umbria 24, questo il messaggio all’origine di tutto: “Oggi mi è capitato di leggere un provvedimento disciplinare in cui il capo del personale di questa azienda, e badate bene non il proprietario il padrone, ha usato un termine a dir poco vergognoso “COLLARE” qualcuno dei suoi superiori dovrebbe fargli un ripassino dei principi che l azienda per la quale lavora sbandiera ovunque. Il collare lo indossano i cani non le persone e certi personaggi che ricoprono certi ruoli dovrebbero stare attenti ai termini che usano in certi atti ufficiali tanto più che sembrerebbe che sto personaggio occupi il parcheggio per invalidi quando si reca a rinforzare i muscoli peccato il cervello non ne trae beneficio“.
Dopo la pubblicazione di questo messaggio la Petruccioli ha ricevuto una lettera di contestazione da parte della Nestlé. La donna, che è anche sindacalista, nel rispondere all’azienda ha sottolineato come con le sue parole non intendesse offendere nessuno e che in ogni caso non si riferisse alla Nestlé, tuttavia aveva l’impressione che fosse il suo diritto alla critica ad essere messo in discussione. Passa qualche giorno e si ritrova nella cassetta della posta una lettera di licenziamento per “giusta causa”. La Cisl intanto si è impegnata a “sanare legalmente questo clamoroso autogol della Nestlé promuovendo forme di lotta in difesa e in solidarietà nei confronti della dipendente licenziata”.
Il caso sollecita due domande: da quando in qua esprimere una propria opinione senza offendere nessuno è diventato reato? ed inoltre è giusto che i datori di lavoro controllino il comportamento del dipendente anche fuori dall’ufficio nel tempo libero, che come dice la parola dovrebbe essere rimesso alla piena disposizione del lavoratore stesso?