Difficile stupirsi ancora per quel che accade nel Belpaese, ma certo la vicenda di cui ci accingiamo a darvi conto, rasenta l’incredibile. I fatti sono accaduti a
Vasto e risalgono al 2012 quando un
impiegato di lungo corso sfila dalla
cassaforte di un ufficio postale una somma pari a 14500 euro. Il furto viene scoperto e grazie a un’intercettazione lo è anche l’autore delle banconote trafugate. L’impiegato viene quindi prima trasferito e poi sospeso. I suoi legali presentano appello contro la sospensione e ne ottengono il reintegro. Dopo circa due anni, si sa che i tempi dell giustizia arrancano su binari un po’ cigolanti e disagevoli, arriva anche la sentenza penale di colpevolezza a carico dell’impiegato, che viene condannato per appropriazione indebita, non per perculato. Insomma il tribunale stabilisce che ad aver commesso materialmente il fatto rilevante penalmente, sia proprio l’impiegato. A questo punto le Poste, forti di questa sentenza licenziano l’impiegato. Tuttavia il giudice del lavoro ha imposto alle poste il reintegro del suo impiegato, con tanto di pagamento degli arretrati.
Così in particolare si legge nella sentenza: “La società disponeva sin dal 2012 di tutti i dati sufficienti per procedere a una contestazione disciplinare”. L’attesa “della sentenza di condanna”, quindi, “non si giustifica”: la “contestazione formale” è “irrimediabilmente tardiva”. A voi gentili lettori le conclusioni.