I rifiuti elettronici rappresentano sempre più un problema ambientale a livello di smaltimento. Basti solo pensare, che considerando lo scorso anno sono stati prodotti 41,8 milioni di rifiuti elettronici, di gran lunga superiori ai 39,8 milioni di tonnellate registrate nel 2013. Questi sono i dati che emergono dal rapporto pubblicato dall’Università delle Nazioni Unite (Onu). Di questo passo si stima che nel 2018 si possa arrivare a superare addirittura i 50 milioni di tonnellate. Tuttavia stando ai dati di questa ricerca, emerge anche che i paesi maggiori produttori di rifiuti elettronici sono anche quelli che vantano una maggiore coscienza ambentalista: tra i primi dieci paesi produttori di e-waste quello che produce la maggiore quantità di rifiuti elettronici pro-capite è la Noervegia (28,4 Kg per persona), a seguire la Svizzera (26,3 Kg), ed ancora l’islanda (26,1 kg), la Danimarca (24 Kg), la Gran Bretagna (23,5 Kg), Paesi Bassi (23,4 Kg), Svezia (22,3 Kg), Francia (22,2 Kg), e Stati UNiti (22,1 kg). E’ l’Africa invece il continente con la minore quantità di rifiuti elettronici per abitante con 1,7 kg a persona. Mentre gli Stati Uniti e la CIna in termini di volume producono il 32% dei rifiuti elettronici nel mondo. A seguire troviamo il Giappone. I rifiuti elettronici però potrebbero rappresentare anche una grande risorsa su cui investire in quanto se recuperati e riciclati potrebbero produrre una ricchezza superiore ai 52 miliardi di dollari.
Così si è espresso in tal senso David Malone, collaboratore del Segretario generale dell’Onu e rettore dell’Università delle Nazioni Unite: “Globalmente, i rifiuti elettronici sono una preziosa miniera urbana, un grande potenziale serbatoio di materiali riciclabili. Allo stesso tempo, il contenuto pericoloso dei rifiuti elettronici costituisce un ‘miniera tossica’ che deve essere gestita con estrema cura“.
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